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Il Distretto Come Volano Dell’innovazione Sociosanitaria Nelle Regioni Disagiate

Il distretto come volano dell’innovazione sociosanitaria nelle regioni disagiate

Borgia O*, Budano G*, Camboa P°, Maggio A*, Pastore N*, Vantaggiato L*

*ASL Lecce , °Past President CARD Puglia

Parole chiave

PDTA, governo clinico, LEA, LES, efficacia clinica, efficienza economica, innovazione.

Riassunto
L’attuale fase storica di grave crisi planetaria e l’innesco di un illogico “federalismo sanitario”, che tende a premiare chi già più ha, sta producendo gravi effetti sullo stato di salute della popolazione dei territori più deboli; infatti, non ha senso parlare di LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), se si assiste a LES (Livelli “Essenziali” di Salute) garantiti solo nelle regioni più avanzate, disattendendo i principi di “equa distribuzione” di John Rawls e di “sanità di valori” promossa da W. Ricciardi e Muir Gray. Ciò assodato, il problema della sostenibilità del sistema dei servizi sanitari nelle regioni disagiate si propone come il problema dei problemi, che non può più essere rinviato e deve essere affrontato nell’immediato con l’unico strumento in grado di risolverlo: l’innovazione, quella vera.

Per la sanità delle regioni meno avanzate, il governo clinico e l’innovazione si propongono come gli strumenti necessari e imprescindibili per la riduzione del gap nei livelli dello stato di salute rispetto alle regioni più ricche ed evolute. Il luogo e il perno ideale per lo sviluppo di questo processo di innovazione è il distretto, attraverso un forte miglioramento della gestione delle aree assistenziali più critiche, che sono rappresentate dalle liste d’attesa (soprattutto per le prestazioni diagnostiche e per la presa in carico – ambulatoriale e domiciliare – della cronicità) e dall’inappropriatezza dei ricoveri ospedalieri. Gli strumenti operativi dell’innovazione per la gestione delle suddette criticità sono, per le liste d’attesa, i RAO (Raggruppamenti d’Attesa Omogenei) e i DSA (Day Service Ambulatoriali), oltre all’implementazione ottimale della trasmissione telematica delle prenotazioni e della gestione delle visite programmate; per l’inappropriatezza dei ricoveri, gli strumenti sono, invece, le Cure Intermedie e le Cure Transizionali in UDTT. Il minimo comune denominatore è sempre e comunque lo strumento del governo clinico, che si esplica attraverso la definizione e l’applicazione condivisa dei PDTA (Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali) per le patologie più importanti sul piano sanitario e sociale; in tal senso, nella lettura della proposta di DGR Puglia sui PDTA, si resta negativamente sorpresi per l’assenza di un importante gruppo nosologico, quello delle malattie reumatiche.

Un altro elemento di forte perplessità è legato alla tendenza a realizzare i PDTA in una logica di attenzione prevalente ai processi (efficienza economica) e non agli esiti (efficacia clinica), prova ne sia il fatto che i DSA (Day Service Ambulatoriali) per le principali malattie croniche sono stati progettati sulla logica dei PACC (pacchetti di prestazioni preconfezionati per tutti i pazienti affetti da una specifica malattia) e non della gestione olistica dei singoli pazienti.

Inoltre, gioire per il miglioramento delle performance per l’applicazione dei LEA (vedi punteggio di 169 raggiunto nel 2016) non può far dimenticare la realtà del desolante quadro dello stato di salute della popolazione pugliese, che gode del triste primato nazionale della prevalenza di soggetti obesi di età superiore a 18 anni (13,1% nel 2016, dai dati “Rapporto Osservasalute” 2017) e di tanti altri preoccupanti dati di prevalenza di importanti malattie croniche sul nostro territorio; tutto ciò, oltre a peggiorare lo stato di salute della popolazione incide negativamente anche sui conti, dimostrando l’insussistenza di un rapporto di equivalenza tra LEA e LES e la necessità di ribaltare il focus dell’attenzione privilegiando gli esiti clinici, anche se col vincolo della sostenibilità economica.

Per quanto sopra, è necessario attuare un deciso cambiamento, anche culturale, attraverso l’utilizzo non solo di nuove tecnologie, ma anche di nuove idee, in grado di ridurre il gap della nostra regione.

 

Materiali e metodi del cambiamento
Gli strumenti e i metodi in grado di massimizzare i risultati nel campo dell’assistenza sanitaria sono rappresentati dall’innovazione e dall’integrazione (condivisione dei processi di governo clinico), che devono svilupparsi in tutti gli ambiti della rete del sistema, ma in particolare nel distretto.

L’innovazione è comunemente intesa come l’introduzione di un prodotto, di un processo, di un servizio o di una soluzione mai utilizzati in precedenza e in grado di produrre un significativo miglioramento dei risultati rispetto al modello tradizionale. Innovazione non è però sinonimo di aggiornamento organizzativo e/o tecnologico, ma un nuovo modo di pensare il funzionamento dei servizi, al fine di attivare un processo di potenziamento esponenziale dell’efficacia e dell’efficienza; ciò può essere perseguito con il ricorso a idee nuove, in grado di sviluppare nuovi modelli organizzativi e di massimizzare l’effetto delle nuove tecnologie, che si propongono come condizione necessaria per lo sviluppo dell’innovazione. L’innovazione non si basa solo su presupposti tecnologici, ma culturali e filosofici, oltre che scientifici e il ragionamento che porta a questa conclusione è semplice: quando il rendimento di un processo produttivo tradizionale non è più in grado di mantenere il sistema efficace (coerente con i suoi obiettivi) e sostenibile (in grado di reggere il forte e costante aumento dei costi e di adattarsi alle continue modificazioni del sistema), qualsiasi tentativo di miglioramento tecnologico del processo tende a produrre benefici solo transitori e parziali; in altri termini, esiste un limite al miglioramento del rendimento, oltre il quale si ha l’appiattimento e poi l’inversione della curva di efficacia del sistema. Pertanto, non si può parlare di innovazione quando si opera solo un mero miglioramento, anche importante, di un processo già in uso, poiché in questo caso dovremmo usare piuttosto termini alternativi come “modernizzazione” o “rinnovamento tecnologico”; peraltro, assai spesso esiste una forte resistenza all’innovazione, al punto da condurci al termine “restauro”, dato che in molti casi i decisori, incapaci di dare un taglio netto ai modelli tradizionali, cercano di mantenere in vita processi asfittici, attraverso affannosi (e assai costosi) interventi di “revisione cosmetica”. Dal nostro punto di vista, innovazione è sinonimo di reingegnerizzazione, cioè di messa in atto di processi mai attuati in precedenza, tali da elevare in modo esponenziale il livello di energia del sistema e, quindi, di renderlo molto più competitivo e sostenibile.

In campo sanitario (e nel settore dell’assistenza primaria e intermedia, in particolare), l’innovazione non può viaggiare disgiunta dall’integrazione, intesa come condivisione partecipativa di tutti i portatori di interessi, primi fra tutti i cittadini e i medici di assistenza primaria.

L’integrazione è intesa sia come partecipazione alla stesura e, quindi, condivisione del progetto tra tutti gli stakeholder, sia come potenziamento sinergico delle attività prodotte da due o più soggetti operanti in uno stesso contesto o sistema; in base a questa seconda accezione, nel campo dei servizi sanitari, l’integrazione deve realizzarsi su diversi livelli, in termini di:

  • Integrazione verticale: tra le varie componenti di una macrostruttura (es. distretto).
  • Integrazione orizzontale: esterna, tra macrostrutture o aree (es. tra ospedale e distretto).
  • Integrazione transdisciplinare: integrazione socio-sanitaria, finalizzata a migliorare i livelli di assistenza e di tutela delle popolazioni fragili, con particolare riferimento agli anziani ed ai disabili, ma senza trascurare l’aspetto dell’integrazione della popolazione immigrata, che si presenta in continuo aumento numerico anche nelle regioni meridionali.

La sinergia tra innovazione e integrazione nel campo delle cure primarie e intermedie si propone un sostanziale miglioramento di alcuni importanti parametri della qualità assistenziale, che devono essere rilevati attraverso l’utilizzo di specifici indicatori:

  1. Efficacia: sistema di rilevazione degli esiti (dell’outcome clinico).
  2. Sicurezza: sistema di rilevazione degli eventi avversi.
  3. Efficienza: sistema di rilevazione dei tempi d’attesa e dei ricoveri impropri o prolungati.
  4. Appropriatezza: sistema di rilevazione dell’alternativa assistenziale appropriata.
  5. Sostenibilità economica: sistema di rilevazione dell’outcome economico, con verifica degli eventuali scostamenti rispetto ai costi preventivati.
  6. Consenso esterno e interno: sistema di rilevazione della Customer Satisfaction.

 

Il distretto e la gestione innovativa delle liste d’attesa
Le liste d’attesa in campo sanitario rappresentano un disallineamento temporale tra il giorno in cui una prestazione dovrebbe essere effettuata per ottenere il massimo risultato in termini di qualità e il giorno in cui la prestazione è effettivamente effettuata. Limitando il discorso, per evidenti esigenze di sintesi, alle liste d’attesa per le prestazioni diagnostiche, è noto a tutti che gli strumenti e i metodi utilizzati per la soluzione del problema sono tre:

  • I RAO (Raggruppamenti d’Attesa Omogenei), introdotti da Giuliano Mariotti da oltre 20 anni.
  • I Day Service Ambulatoriali (DSA): un nuovo sistema di gestione delle sistema ambulatoriale delle principali malattie croniche, con particolare riguardo a quelle sistemiche (es. diabete). NB: i DSA sono uno degli strumenti principali dei PDTA e rivengono da una definizione condivisa dei processi di governo del percorso clinico).
  • L’informazione dematerializzata: capacità di produrre la richiesta di prestazione (o di soddisfare la prestazione programmata) per via telematica, senza sprechi di risorse (tempo ed energia).

Attraverso i RAO, si è cercato di rendere al cittadino il diritto di soddisfare i propri bisogni di salute in base a precisi criteri di importanza e di urgenza clinica.

Con i DSA si è cercato di gestire la malattia cronica in senso olistico, attraverso la presa in carico del paziente e l’erogazione programmata di tutte le prestazioni (diagnostiche e assistenziali), che si rendessero necessarie per la corretta gestione del caso in un’unica giornata o in più giornate, con possibilità del ricorso ai RAO in caso di necessità e/o di intervenute complicanze.

Attraverso la trasmissione dell’informazione dematerializzata, poi, si cerca di minimizzare i pesanti costi indiretti (es. assenze ripetute dal posto del lavoro, consumi energetici, aumento del traffico e inquinamento e conseguente diminuzione del PIL).

Nella realtà, in Puglia si sono verificate notevoli anomalie che hanno impedito di ottenere gli obiettivi prefissati; infatti:

  • RAO: la Regione Puglia non è riuscita ad attuare un processo in grado di uniformare i RAO su tutto il territorio regionale con conseguenze evidentemente caotiche.
  • DSA: la Regione Puglia ha adottato per i DSA il modello dei PACC (pacchetti di prestazioni a costo predefinito), con la conseguenza di creare un modello valido solo a livello teorico, dato che il DSA deve essere tarato sulle esigenze individuali del singolo malato (a parità di malattia, infatti, le prestazioni richieste possono variare enormemente da caso a caso).
  • L’informazione dematerializzata: è utilizzata o applicata solo in minima parte, al punto che, nel 2011 Budano et al. dimostrarono l’eccezionale entità dei costi prodotti dalla mancata attivazione della trasmissione telematica delle richieste; infatti, dall’analisi dei dati riportati nel lavoro di cui sopra, effettuato nella ASL Lecce, è stato calcolato un costo per singola prenotazione di circa 3€, per un totale di quasi 5 milioni di € all’anno: costi, questi, assolutamente impropri e totalmente imputabili alla mancata attivazione del modello telematico, che peraltro sarebbe pure uno strumento a supporto dell’efficacia e della sicurezza clinica del paziente.

Per risolvere (fino a rimuovere del tutto) gli elementi di criticità appena rilevati, gli interventi da realizzare sono abbastanza semplici, dato che:

  • Per i RAO: la Regione Puglia dovrebbe convocare un tavolo tematico per l’elaborazione di tabelle RAO condivise per le varie prestazioni diagnostiche specialistiche, valide sull’intero territorio regionale e tali da poter essere attivate attraverso un sistema informatizzato, costruito in rete, comprese le strutture private accreditate.
  • Per i DSA: la Regione Puglia deve abbandonare il sistema dei PACC (che, sul piano filosofico è come un ritorno alla cultura del “Pacco Ostetrico” in pieno stile anni ’60) e modularsi su un percorso a complessità variabile, in base al livello di gravità e di compromissione del paziente. Questo modello innovativo di DSA, definito SPSI-P (Servizio Plurispecialistico Integrato per Patologia), fa scomparire il paziente cronico dalle liste d’attesa diagnostiche e gestisce tutti i suoi bisogni di salute in modo specifico e in una singola giornata (una o più volte all’anno) con accessi programmati. Al fine di dimostrare il funzionamento di un SPS-I (o DSA avanzato), in tabella 1 si riporta la sintesi del modello del DSA cardiometabolico, articolato su 5 livelli di complessità e in uso per 10 mesi nel DSS di Maglie (aa. 2006-2007).
  • Per l’informazione dematerializzata: deve essere realizzata in modo sistematico su tutto il territorio regionale, attraverso una rete in grado di trasmettere in modo telematico le richieste della prestazioni e di gestire le visite programmate, attraverso la fornitura, al malato cronico seguito in DSA, di una card elettronica in grado di incamerare i dati e di consentire la gestione telematica degli appuntamenti e delle visite programmate. Attualmente, in Puglia, la sua realizzazione è ancora frammentaria e colma di criticità, perché l’uso di tale tecnologia è frenato dalla mancata attivazione di un cambiamento culturale che deve avvenire non solo da parte dei sanitari (MMG e specialisti) e utenti per l’utilizzo di queste metodiche, ma anche per la carenza strutturale di una rete in grado di garantirne la diffusione. L’implementazione dell’informazione dematerializzata garantirà eccellenti livelli di efficacia e di sicurezza clinica per il paziente e sarà possibile annullare i costi impropri, legati alla gestione “manuale” delle prenotazioni.

 

dsa cardiometabolico

 

La premessa fondamentale per il cambiamento è legata alla necessità di superare le resistenze legate al culto della tradizione, che ha portato a consolidare i “4 fondamentali sofismi delle liste d’attesa”, che occorre assolutamente confutare:

  1. I tempi d’attesa si possono ridurre migliorando l’efficienza: nella realtà, però, esiste un limite al miglioramento dell’efficienza, oltre il quale i tempi d’attesa riprendono ad allungarsi.
  2. Il ricorso all’ALPI contribuisce a ridurre le liste d’attesa: nella pratica quotidiana, però, l’ALPI, anche se praticata nel totale rispetto dell’etica, provoca un “fisiologico” allungamento dei tempi d’attesa (es. paziente diabetico), oltre a produrre la perdita del governo clinico e altri importanti effetti collaterali in altri settori (es. inappropriatatezza dei ricoveri per accertamenti diagnostici, aumento dei tassi di cesarizzazione, ecc.).
  3. Le dimensioni della domanda di prestazioni e il livello di pretesa di urgenza non possono essere modificate alla fonte: in realtà, sebbene le scelte decisionali del medico di assistenza primaria (responsabile clinico del paziente) non possano mai essere messe in discussione, un modello innovativo di gestione del percorso clinico di ogni singolo caso può essere costruito in modo condiviso (con il coinvolgimento di tutti attori in sede regionale o locale in UCAD).
  4. Le liste d’attesa possono essere minimizzate con un significativo aumento dell’offerta, che può comportare anche il ricorso al privato: in verità, l’aumento dell’offerta non modifica (e spesso paradossalmente peggiora) i tempi d’attesa, perché induce un aumento di domanda “impropria” (McQuarrie, USA, 1983 – Goldacre et al, UK, 1987).

Acclarata quindi la necessità di passare dalla passiva e fideistica osservanza dei dogmi (sofismi) all’attiva ricerca del “logos”, a nostro avviso, la stesura dei singoli PDTA deve essere basata sul rispetto dei seguenti principi:

  • Definizione dei COI (Cost of Illness) attuali e previsione dei COI futuri: nel calcolo dei COI di una malattia cronica si tiene conto non solo dei costi diretti di assistenza, ma anche dei costi indiretti (es. consumi energetici, tempo sottratto alle attività lavorative per gli spostamenti, ecc.) e di quelli nascosti.
  • Definizione condivisa del PDTA sottoscritta da parte di tutti gli attori del percorso clinico: questo punto è importante soprattutto nel momento della delega del paziente dal medico curante (che è il responsabile del percorso clinico) allo specialista responsabile del DSA.
  • Scomparsa dalle liste d’attesa del paziente seguito in DSA, con la sola eccezione di eventuali urgenze, che saranno seguite con il metodo dei RAO.
  • Definizione di un percorso di sorveglianza sull’ALPI: l’ALPI è una delle principali fonti di “produzione” di liste d’attesa diagnostiche, perché esse sono svincolare, di fatto, da specifici PDTA e funzionano con un meccanismo di tipo hub-spoke, attraverso il quale il medico dell’ALPI può indurre un gran numero di liste d’attesa per prestazioni specialistiche di vario tipo e natura. Per quanto sopra, non possiamo condividere la scelta di utilizzare l’ALPI come servizio in grado di fornire risorse aggiuntive (facendo pagare solo la quota ticket al paziente che ne faccia richiesta); infatti, l’introduzione di risorse aggiuntive, come abbiamo già detto, non produce una riduzione delle liste d’attesa, ma un ulteriore ampliamento, dato che l’aumento dell’offerta è un “generatore automatico” di domanda inappropriata. Inoltre, il servizio ALPI è tale da ridurre la Clinical Governance (governo condiviso) ed è un moltiplicatore di prestazioni (es. il diabetologo in ALPI funge da hub che invia il paziente ad altri specialisti senza una reale alleanza clinica e in giorni e momenti differenti).
  • Inserimento tra i PDTA delle malattie reumatiche: in caso contrario, si continuerà ad assistere alla triste (e costosa) migrazione dei malati reumatici verso il servizio di ALPI.
  • Specificità e globalità (“From the cradle to the grave” – dalla culla alla bara) del percorso: ogni PDTA deve prevedere sempre la presa in carico precoce (con particolare attenzione anche alla prevenzione e agli stili di vita) del paziente e deve garantirne in modo specifico la soluzione dei suoi bisogni individuali (ecco perché i PACC non potranno mai essere la soluzione), compresa la riabilitazione, l’assistenza domiciliare (o residenziale) e l’eventuale attivazione di episodi di Day Hospital e/o di Day Surgery.      

 

Conclusioni
Il presente lavoro si è proposto come strumento per la soluzione di un gravissimo problema del sistema assistenziale delle regioni meno avanzate, relativa alle liste d’attesa per le prestazioni diagnostiche, che allo stato attuale comportano un grave problema di tipo sia economico che strettamente sanitario (in termini di grave riduzione di efficacia e di sicurezza clinica del paziente.

La soluzione del problema è legata all’innovazione e all’integrazione e si deve realizzare in modo precipuo nell’ambito distrettuale, con un modello valido su tutto il territorio regionale, in grado di rimuovere tutti gli elementi di criticità che finora si sono frapposti, per colpa di frammentarietà e di eccessiva eterogeneità non solo tra le varie ASL, ma anche all’interno dei servizi di una stessa ASL.

Gli interventi che si propongono alla regione per risolvere in modo radicale le liste d’attesa per le prestazioni diagnostiche sono così sintetizzabili:

  • Per i RAO: convocazione di un tavolo tematico per l’elaborazione di tabelle RAO condivise per le varie prestazioni diagnostiche specialistiche, valide sull’intero territorio regionale e tali da poter essere attivate attraverso un sistema informatizzato, costruito in rete, comprese le strutture private accreditate.
  • Per i DSA: abbandono del sistema dei PACC unici e modulazione dei servizi di DSA su un percorsi a complessità variabile, in base al livello di gravità e di compromissione degli organi bersaglio della malattia presa in esame (e dello stato complessivo del paziente); tale evoluzione deve essere in grado di unificare il percorso assistenziale anche nelle fasi in cui il paziente non è più in grado di fruire delle cure ambulatoriali (attraverso l’attivazione del percorsi di ADI) e/o quando le procedure assistenziali prevedano la necessità del ricorso ad un approfondimento di tipo diagnostico o terapeutico in ambito ospedaliero (Day Hospital o Day Surgery); in questo caso, all’acronimo DSA si sostituisce quello di SPS-I (Servizi Plurispecialistici Integrati).
  • L’informazione dematerializzata: realizzata in modo sistematico su tutto il territorio regionale, al fine di eliminare le disuguaglianze per disparità nell’accesso ai servizi tra i cittadini di una stessa regione; inoltre, l’implementazione del sistema telematico di trasmissione delle informazioni, sarà tale da produrre una consistente riduzione dei costi, con possibilità di reinvestimenti, per il miglioramento continuo della qualità dell’assistenza.

“Le persone (ma, in particolare, i cosiddetti – sedicenti e autoreferenziati – ‘esperti’: n.d.a.) non rifiutano il cambiamento; però non accettano di essere cambiate” (Richard Beckhard).

 

Bibliografia

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